Non possono fare a meno di Napoli (e non solo a Sanremo)
Una newsletter scritta guardando il sismografo
Ciao, sono Ciro Pellegrino e sto scrivendo questa newsletter con il sismografo dei Campi Flegrei sotto gli occhi. Se questa letterina ti piace fammi un piacere: consigliala. Si può fare in vari modi: la condividi su Instagram o Facebook, la inoltri via mail a qualcuno, gliela mandi su Whatsapp/Telegram, glielo dici a voce, bussi al citofono, ne parli al bar o alla macchinetta del caffè.
Guagliò.
Erano anni in cui Sanremo non lo guardavamo perché era vecchiumma democristiana e preferivamo musica e gente al Notting Hill in piazza Dante o al Flakabè dei Ponti Rossi. Oppure, se la serata era giusta e c’avevi il passaggio del ritorno, si andava al centro sociale Officina 99 a Gianturco o al Michelemmà di Pozzuoli. Io sognavo l’Otto Jazz Club ai Cariati, corso Vittorio Emanuele, appena dentro i Quartieri Spagnoli. Ma era troppo per le mie tasche. E poi il jazz non piaceva a nessuno che conoscessi.
In quegli anni di scuola un compagno, detto Filini per gli occhiali a culo di buccaccio, decise che noi dovevamo accompagnarlo a comprare un giornaletto spuorco.
So che ora quest’affermazione può sembrare excusatio non petita, accusatio manifesta, ma non c’era bisogno di andarlo a comprare in comitiva. Filini voleva solo vedere l’effetto che fa, per dirla alla Jannacci. Voleva andare lì a sfogliare, valutare e scegliere come un signore perbene fa con una giacca. E soprattutto voleva renderci complici del fatto.
Vabbè, comunque c’era una fumetteria vicino scuola che aveva un vasto assortimento da retrobottega e lì andammo. La scuola era l’Enrico Fermi, istituto tecnico industriale al corso Malta, regno delle soprelevate, delle officine meccaniche e delle caserme.
Il fumettaro, un po’ rigattiere, un po’ edicolante, sembrava Katz, il tizio che in “Vacanze in America” dei fratelli Vanzina porta una escort a Jerry Calà in un hotel di Las Vegas. Propose una prima interessante pubblicazione a colori, con varie trame a suo dire sicuramente adatte ai gusti di Filini e di noi amici. Costo, 6.000 lire. Filini aveva già puntato un economico fascicolo spiegazzato e sicuramente usato dal costo di 2.000 lire.
Mister Katz rilanciava: noo, questo qui è speciale, è americano, costa 5.000 lire, sono cento pagine, sono tutte a colori, 4.500 lire e chiudiamola qui, cento pagine ci stai un’ora…
Fu in quel momento che Filini pronunciò la frase che, col senno di poi, era destinata a diventare una grande lezione negli affari, nella vita e in tutto quanto.
«Cento pagine?
Capo… ma io una pugnetta mi devo fare».
Eravamo giovani. Ma, pensandoci oggi è un grande insegnamento: non investire più di quanto sia necessario al raggiungimento del tuo obiettivo.
E non era nemmeno saggio, Filini: era di Arzano.
Devo darvi una notizia
“Se potessi, ti regalerei Napoli” è tornato in libreria e su Amazon. Abbiamo avuto un gennaio difficile: il libro era finito ovunque e la terza edizione si faceva attendere.
Lo so che cose del genere le dice pure chi è premiato alla serata degli Oscar, ma io davvero non me lo aspettavo questo responso. Le ristampe, le nuove presentazioni, i progetti legati al libro.
Un giorno vi spiego com’è difficile se sei napoletano e hai scritto un libro su Napoli fare determinate cose. Ma questa città muove mondi, quindi sono fortunato.
Parlare dei napoletani: il caso Sanremo
Nei saggi che vorrei scrivere ce n’è uno sul parlare dei napoletani. Trovo nelle carte e cartuscelle tanti appunti sull’argomento. Il mio terrore è semmai andarlo a presentare.
Detto ciò: il festival di Sanremo è finito, ringraziando Iddio lo ha vinto uno di Genova quindi non ho dovuto disporre pezzi da Napoli come l’anno scorso con Geolier.
Però, come al solito, la città si è infilata nel Festival della canzone in vari modi. Edoardo Bennato, ad esempio. Poi il «sì na preta» (sei una pietra, hai un fisico scultoreo, sei tosta) gridato a Rose Villain. Tempo 24h e sono state prodotte magliette, gusti di gelato, cioccolatini di San Valentino e mutande ricamate. Abbiamo esportato un nuovo modo di dire.
Guardate che sul tema c’è un mondo.
Esempio?
«Scusa bella, ma sei di Mergellina?… No perché sì proprio nu scoglio!»
Tralascio le altre che ho ascoltato negli anni.
Poi abbiamo avuto il caso Cattelan e il caso Geppi Cucciari.
Il primo: al Dopofestival di Alessandro Cattelan canzoncina (scema) sui napoletani a Roccaraso, gela Rocco Hunt che non ride (ma non se la prende, semplicemente non gradisce e non ride). E il giorno dopo in conferenza stampa Cattelan si trova in enorme imbarazzo e se ne esce con cose tipo che lui ama Napoli. Tipo quello che dice che ha molti amici gay.
Secondo: Geppi Cucciari in piena serata di Sanremo con Carlo Conti se ne esce con una mezza battuta sui napoletani che gettano i televisori dal balcone a Capodanno.
Insomma, non comicità ma dileggio basato su stereotipi. Ne abbiamo tanti, siamo il Paese dei campanili e delle maschere. Il sardo rapitore, il milanese cocainomane, il romano corrotto, il pugliese linobanfesco/sempliciotto, il tornese leccaculo, il siciliano mafioso. Uau, a voi Bill Hicks vi fa un baffo. Contenti voi.
Tutti d’accordo sul fatto che una battuta su Napoli ti assicura un cono di luce di almeno 24 ore? Se è cattiva ridono gli altri. Se è cattivissima si arrabbiano i napoletani. Se ti va benissimo ti danno un programma radiofonico.
Insomma, conviene.
Ma realizzerò un corso di formazione sulle nuove frontiere dei reati e delle nefandezze attribuibili ai napoletani, così almeno le fanno più aggiornate, ste battute. Prima lezione gratuita: il colera c’è stato di recente a Brescia: non vale più per i partenopei.
(mannaccia chivemmuort, mi farete diventare borbonico…)
Lettere d’amore a Napoli
“Io ci sto” la libreria indipendente del Vomero della quale sono orgogliosamente socio, ha sposato una iniziativa: selezionare dopo un concorso internazionale, la più bella lettera d’amore per la città di Napoli. La lettera sarà esposta in un piccolo museo abruzzese unico al mondo: raccoglie tutte le lettere d’amore più belle. Il museo è a Torrevecchia Teatina.
Libri
“Primmammore” lo ha scritto Titti Marrone che è una giornalista, una delle più importanti firme della cultura a Napoli. Ha mantenuto una caratteristica: non pretende di insegnare, cerca di far capire. La storia del suo libro si ispira a quella di Fortuna Loffredo, Parco Verde, Caivano. Non è facile da mandar giù, è importante però farsi guidare nell’orrore dalle persone giuste che non vi indugiano per il gusto del crime.
La foto di copertina è di Sergio Siano, uno dei re della fotografia di cronaca napoletana.
Oilloc!
Vesuvio erutta, tutta Napoli è distratta
Ciao, sono Ciro Pellegrino e questa è “Saluti da Napoli”, una newsletter gratuita (sì, è gratis: qua tutti bussano a denari, meglio dirlo). Credo molto nel passaparola, dunque coi mezzi a vostra disposizione, se vi va, potete condividere e consigliare questa newsletter.
Facciamo un blues e ce ne andiamo
«E po' se faccio 'e corna, nun è pe cattiveria, è che ce l'aggio a morte cu chi sfrutta 'a miseria».
Guagliù chest’è. Sentiamoci ja, numero e mail ce li avete!
Sei sempre un grande.Dai voce ai miei pensieri!
Adoro leggerti! E chest è!