«E po' se faccio 'e corna, nun è pe cattiveria, è che ce l'aggio a morte cu chi sfrutta 'a miseria».
Scio' Live - 1984
Leggerai un cuofano di cose, ricordi aneddoti e andrà pure bene. Ma se vuoi davvero capire Pino Daniele parti da Santa Maria la Nova e a piedi percorri via Toledo, piazza Plebiscito, arriva a santa Lucia e poi giù, verso via Partenope. Al curvone dopo gli ingombranti ristoranti del Lungomare affacciati e guarda il panorama. Fu lì che Pinotto a diciott’anni iniziò a scrivere “Napule è”.
Chiediti com’era Napoli negli anni Ottanta, immagina il percorso del ragazzo «con la faccia da indiano e il passato un po’ più strano». Immagino il ragazzo del vicolo «addo’ nun tràse ‘o mare» che guarda il mare e il Castel dell’Ovo che galleggia sull’isolotto di Megaride e mi viene in mente, oggi, lo stupore di Lenuccia Greco nel primo libro dell’Amica Geniale. Pino però ci mise la musica. Un lentamente con oboe e mandolini, radici e dolore in dialetto napoletano, il più bel dialetto della musica contemporanea, quello di Eduardo.
Pino è stato miracolo. Ci vedeva pochissimo e nonostante ciò diventò un chitarrista di fama internazionale. E il suo cuore «andava a vento» già da giovane. Un miracolo, sì. Quello della forza di volontà, quello della voglia di dire e farsi ascoltare. «E saglie ‘a voglia d’alluccà». La sua morte fu comunicata nottetempo su Instagram da Eros Ramazzotti, per qualche minuto pensai ad una di quelle colossali prese in giro. Invece no.
Ero tra i centomila di piazza Plebiscito il 7 gennaio 2015, quando ci furono i funerali napoletani. L’emozione è bella da vivere ma non ti lascia molto da ragionare. Sono stati gli anni successivi a chiarire cosa fosse rimasto di Pino Daniele. Due elementi: il primo è la trasformazione in mito prêt-à-porter che chiunque, dal tiktoker al sociologo, può usare alla bisogna (spesso in maniera banale). Quello riguarda soprattutto la produzione musicale iniziale (dal 1977 con “Terra mia” a “Dimmi cosa succede sulla terra”, 1997). A me oggi interessa molto il Pino Daniele della seconda fase, quello dal 2001 in poi, da “Medina” a “La grande madre”. Che inizialmente rifiutavo per paura di perdere la poesia di “Gesù Gesù” e “Lazzari felici”. Col tempo ho capito che andando avanti non si perde il passato. Se non vuoi non si perde.
Pino è stato soprattutto un grande musicista e negli ultimi anni la sua voglia di ricerca è stata così intensa da essere evidente anche ai profani come me. Non lo dico io, lo ha spiegato Ezio Bosso ne “Il tempo resterà”, il primo bel docu su Pino, scritto e realizzato da Giorgio Verdelli.
Ho un sacco di ricordi personali, sono ricordi da fan, non penso interessino. Però senza Pino non sarei la persona che sono oggi: mi ha cambiato la vita. “Se potessi, ti regalerei Napoli” si apre e si chiude con una sua citazione, questo per far capire quanto sia stato importante nella mia vita. Ogni volta che incontro qualcuno che gli ha voluto bene penso che potrebbe essere anche mio amico. Vi consiglio il libro di Alessandro Daniele sul padre. Se amate Pino è di fondamentale importanza. Vi farà commuovere. A me è andata così.
Sono un po’ stanco in questi giorni, vorrei parlarvi di alcune novità ma non è il caso di mischiarle a questo ricordo. Vi mando un abbraccio.
«L’importante è il sentimento».
Non smettete di voler bene a Pino Daniele. Mai.
Grande, mi sono commossa!
Complimenti
Un bel pezzo dell'anima
Auguri