Ciao, questa mail non era prevista. Ma era prevedibile.
Avesseme pariato ancora, ‘o ssaje?
Pino Daniele avrebbe compiuto settant’anni il 19 marzo 2025, giorno di San Giuseppe. Oggi a Napoli ci sono aneddoti, celebrazioni e poca analisi: il rischio che Pinotto diventi una specie di santino da inserire nel Pantheon della napoletanità a tutti i costi mi terrorizza.
Per me Pino Daniele è stata la speranza che si poteva emergere dal vicolo senza rinnegarlo. E che si poteva scrivere, si poteva raccontare senza appaltare alla gente venuta da fuori uno sguardo sulla città.
Sai che significa essere autorevoli? È quando tu cerchi fra le righe, oltre quello che dico, per leggere oltre quello che riesco a farti capire. È quando usi le mie parole come trampolino non nel mondo mio, ma nel mondo tuo. E Pino per me è stato accussì. M’ha gettato a mare dicendo: vai, nuota tu. Ce la puoi fare.
Fortunatamente ho buttato pochissimo sangue sul famigerato “Metodo Sagreras per chitarra” e sul temibile “manuale Bona per il solfeggio musicale” prima di capire che non era arte mia. La musica non è solo intuito. È ore e ore passate su ogni singolo aspetto. E io mi vesto solo di parole.
Pino - leggi il libro del figlio Alessandro - aveva enormi problemi di vista, oltre quelli cardiaci ed era diventato uno dei più rilevanti e influenti autori e musicisti italiani.
Per raggiungere quei livelli devi applicare il Metodo Eduardiano (un giorno ne parleremo), sintetizzato in quel discorso che Eduardo fece a Taormina, il suo testamento morale. «Vita di sacrifici e gelo». Non so se per Pino fu gelo, magari fu prendere le distanze da molte cose e persone. Almeno questo dice la sua biografia.
Cosa avrebbe detto oggi quel ragazzone con la chitarra non lo sapremo mai. Lui e Troisi erano quasi coetanei (Massimo era del 1953, Pino del '55). Negli anni Ottanta Pino scrisse “Alleria” che parla un po’ di come si sarebbe visto da vecchio. I sacrifici fatti da ragazzo, anche certe dinamiche familiari lo avevano già segnato.
Passa 'o tiempo e che fa
Se la mia voce cambierà
[…]Alleria, pe' 'nu mumento te vuò scurdà
Che hai bisogno d'alleria
Quant'e sufferto 'o ssape sul Dio
Il ragazzo «con la faccia da indiano e il passato un po’ più strano» oggi è impropriamente su un piedistallo e la cosa mi inquieta. A me piace ricordare che non aveva un carattere facile, me lo rende meno santo di come oggi lo stanno pittando e più vicino a come sono io e a come mi piace immaginarlo.
Ogni tanto la Fondazione che porta il suo nome fa uscire degli inediti tipo questo “Una parte di me”. Sono belli, commoventi.
A me manca tantissimo andare a vedere un suo concerto. Ci sono stato molte volte, mi manca assai. Ma niente. Dobbiamo soffrire, solo così capiamo l’assenza. La sorella di Massimo Troisi dice sempre che con il suo ultimo film Massimo ci ha insegnato che la morte non significa scomparsa di tutto: è overo.
Però a me manca Pino oggi, gli avrei chiesto che pensa di Israele e Palestina, lui che si era fatto fotografare su un album con una keffiah (“Bonne soirée”, anno 1987, l’album da musicista fatto e finito). Gli avrei chiesto : senti, ma secondo te addo’ jamme a fernì?
Sarei rimasto deluso dalla risposta? E chi ‘o ssape.
Oggi trovo affini a Pino artisti come Roberto Colella e Tommaso Primo. Immagino, ipotizzo che sarebbe incuriosito da Geolier.
Appena mi sveglierò nel giorno del suo compleanno metterò la sua musica e smetterò di ascoltarla solo la sera, senza Pino Daniele non sarei il napoletano che sono, probabilmente fosse pure n’at’ommo. Ho un debito di gratitudine gigantesco. Non penso di essere l’unico.
Facciamo un blues e ce ne andiamo
«E po' se faccio 'e corna, nun è pe cattiveria, è che ce l'aggio a morte cu chi sfrutta 'a miseria».