«Professò, ve lo dicevo! Fatevi la comodità! Fatevi la comodità! E mò ’o Cavaliere s’adda arrangià!»
Così Parlò Bellavista - Giggino, il venditore di bare a rate
Le due reazioni alla morte di Silvio Berlusconi che mi sono rimaste impresse sono state quelle di un giovane dei Quartieri che ha detto: «nu grand omm, mi ha fatto avere l’indulto» e quella di un signore che parlava convintamente dei comunisti che «fino al 1993 si stavano mangiando l’Italia».
In redazione mi sono sentito vecchio: uno dei pochi ad aver “conosciuto” Silvio Berlusconi e ascoltato le sue barzellette dal vivo.
Per barzellette non intendo solo quella di Mohammed Esposito (maggio 2011), sfoderata durante una campagna elettorale, ma pure quella, tragica, del presidente che ripulisce Napoli durante l’emergenza rifiuti del 2008.
Io c’ero, da cronista.
Ricordo le conferenze stampa con le mozzarelline mentre fuori la monnezza arrivava ai secondi piani dei palazzi, ricordo i colleghi della stampa straniera che chiedevano - io non avevo una risposta - chi fossero quelle gemelline lì in prima fila ad aspettare “Silvio” e perché si dovesse fare una conferenza stampa su una nave da crociera (è accaduto pure questo).
Il cantiere per l’inceneritore di Acerra che diventa bunker di Stato con l’Esercito a difesa e un set televisivo montato per le conferenze stampa, Berlusconi che in piazza Plebiscito prende la ramazza per far finta di fare il “presidente spazzino”.
La corte dei miracoli e dei miracolati: a Napoli si è giocato tantissimo della partita berlusconiana, sia in termini di consenso e di massimo potere (un nome su tutti: Mariano Apicella) che nella fase calante, con Noemi Letizia, le 10 domande e la velleità di una parte dei giornalisti italiani che pensavano di combatterlo accussì.
I primi forzisti napoletani negli anni Novanta furono come nel resto d’Italia presi dalle assicurazioni, dalla Standa, da Fininvest. Io ricordo la gara che facevano i suoi per sorprenderlo, quando era a Napoli. La gara a chi portava più torpedoni stracarichi di persone alle convention e non importava se militanti fedelissimi o comparse pagate.
C’era Giggino Cesaro ‘a purpetta di Sant’Antimo che gli faceva arrivare le mozzarelle di bufala. Lui e Nicola Cosentino ‘o mericano di Casal di Principe gli portavano i voti dell’area metropolitana di Napoli e del Casertano: tutte promesse, potere e condono.
E poi il cantante, l’elegante signora, la barzelletta un po’ sconcia. Un copione nazionale.
Difficile dire no se decideva di volerti candidare: ci riuscì però Antonio D’Amato, il patron di Seda di Arzano (quelli che fanno il packaging di gelati e fastfood), non vi riuscì Gianni Lettieri, quello di Atitech: finì a candidarsi due volte sindaco (perdendo) contro Luigi De Magistris.
Sapete come faceva le interviste alle tv locali partenopee?
Set montato con luci sparatissime e telecamere portate dallo staff di Berlusconi, sfondo blu istituzionale, due sedie - quella sua ben settata sul profilo buono e col cuscinone -. Intervistatore e intervistato, lui ben truccato e sorridente, in doppiopetto e cravatta Marinella, si incontravano. Facevano una bella foto ricordo con la stretta di mano e poi si sedevano entrambi.
E Berlusconi iniziava a parlare.
Cinque, sei minuti su ciò che voleva (erano quasi sempre interviste pre-elettorali). Berlusconi si alzava, andava via. E l’intervistatore registrava la sua domanda che veniva montata prima.
Io l’ho visto. Non so se è sempre andata così. Però ho visto. E ricordo.
Giù il sipario
A Napoli nel giorno del lutto nazionale al teatro San Carlo davano l’ “Anna Bolena” di Donizetti.
La gente non ha gradito la richiesta di cordoglio (che poi, cosa significa? Mi devo dispiacere pubblicamente? Boh).
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Carmela
Di Tommaso Primo forse v’ho già parlato e ve ne parlerò ancora. È uno dei cantautori napoletani che amo di più, erede di un modo di vedere questa città che affonda le sue radici nel mondo di Pino Daniele.
È stato ad un suo concerto che ho scoperto Gabriele Esposito, altro talento incredibile. Entrambi hanno interpretato Carmela, capolavoro di Sergio Bruni, in una chiesa di Forcella che ha dell’incredibile e cui voglio molto bene perché mi ricorda i tempi delle battaglie fatte lì, poco prima e poco dopo l’omicidio di Annalisa Durante. Una vita fa. La chiesa è quella del “quadro che nasconde un altro quadro”.
Racconta Tommaso Primo:
Nel 1976, viene pubblicato un disco scritto da Salvatore Palomba e Sergio Bruni, dal titolo “Levate ‘a maschera Pullecenella”. È un disco importante che cambierà gli argomenti della canzone napoletana dell’epoca, (un anno dopo uscì “Terra mia”, il primo lavoro discografico di Pino che ne fu fortemente influenzato) rimettendo al centro del racconto: il vicolo, il basso, gli scugnizzi, le prostitute (insomma, gli ultimi). L’album in questione conteneva un brano, “Carmela”, che ho avuto il piacere di cantare con quello che reputo il talento più puro e cristallino della sua generazione,
Gabrielino è figlio di una lunga tradizione di chansonnier napoletani, che si tramanda energia, storie ed accordi da quando la canzone napoletana è nata, una tradizione che non morirà mai. Per volontà di Partenope. L’arrangiamento è stato pensato e ideato dal maestro Nunzio Veneruso.
Abbiamo girato questo video nella Parrocchia di san Giorgio Maggiore a Forcella, davanti all’opera nascosta di Aniello Falcone, fondatore della Compagnia della Morte. È stato un salto nella Napoli esoterica che consiglio a tutti.
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“Sud scavame a fossa” è una poesia in musica di Pino Daniele. Una delle più belle e meno conosciute. La inserisce nella piccola biografia scritta con Mimmo Liguoro ed edita da Pironti e poi resta pressoché dimenticata. Menomale che esiste Youtube e chi riversa e conserva.
Sud scaveme ‘a fossa,
voglio murì cu’tte!
Mmiez’ ‘e penziere d’ ‘a gente
dint’ ‘a chest’aria ‘e turmiente.
Sud scaveme ‘a fossa,
voglio murì cu’tte…
‘Ncopp’ ‘o presepio a Natale,
dint’ a ‘nu cuopp’ ‘e giurnale.
E ogge, ca i’ passo ‘a ‘nu munno a n’ato,
a me mme pare quase tutt’ ‘o stesso.
‘E mamme, ‘e figlie,
‘e viecchie, ‘e mariuole,
si stanno a Sud
fanno cchiù rummore.
Nuje nun simmo mangiaspaghetti,
nuje nun simmo nè terrone e nè fasciste:
nuje ch’ammo jettato ‘o sanghe
int’a sta Storia,
partimmo pe’ turnà
addò simme nate.
Partimmo, pe’ gghì a truvà
chello ch’amma lassato.
Ma pecchè?
Sud scaveme ‘a fossa,
voglio murì cu’tte
Instagràm
I say i sto cca. A presto guagliù!
Nel 2008 non riuscivo a fare fumetti su nient altro che non fosse Napoli la munnezza e il governo. Me lo ricordo bene quel periodo, nel fiore dei miei 20 anni