Erano gli anni in cui sognavamo di voler diventare e sentivamo di potere. Oggi che siamo? Che problema spiegarlo. Intanto io sto qua, mi piango una foto e due messaggi. Però se devo ricordarlo dall’inizio, aspie’, dammi tempo, fammi prendere fiato. Metto una canzone del 1995, fa da metronomo e scende addosso, reclino la testa. E chiudo gli occhi, io so scrivere anche così, che credi, noi abbiamo passato tanti anni a scrivere in ogni cazzo di condizione.
Io mi ricordo la tua barba alla Francesco De Gregori, il maglione di lana grezza, indossato senza camicia. Eravamo gli sperimentali, quelli della sezione P, detta così sembrava un corpo d’elìte e invece eravamo il figlio dell’operaio, il figlio del falegname, il figlio del benzinaio. Secondigliano, Sanità, Ponticelli, Miano, Scampia, Sant’Antimo, Ercolano. I “pupilli” di Manina. Quelli che sapevano scrivere.
Quelli che avevano scoperto le parole. E che erano andati a fare il Tecnico Industriale.
A scuola un anno di differenza sembra un secolo. Leggo l’età sul manifesto «ma eravamo praticamente coetanei». Oh, io sto leggendo il tuo manifesto a morto. Io non ci arrivo, io nun so’ capace, io non ci faccio pace e ne ho visti, me ne sono pianti, non so’ chiu’ nu criaturo sai.
A me fa andare ‘nfreva l’ingiustizia. Tre giorni prima avevi chiesto il trasferimento a Napoli dopo gli anni passati a Orbassano. Te lo giuro ti avrei accolto a braccia aperte e avrei ascoltato: com’è, Carminie’ tornare a Napoli dopo tanti anni? Avevo proprio voglia di ascoltare una storia così.
Ma che ingiustizia. Che ingiustizia a chi combatte l’ingiustizia e tu eri comunista veramente, ed eri rimasto compagno, durante la pandemia andavi in giro per la solidarietà attiva, facevi cose, non ti sei fermato mai.
Cerco dei messaggi scritti tempo fa e mi devo fermare, frà, ma come cazzo si fa, io ho dei messaggi scritti, un numero di telefono, un contatto facebook, uno whatsapp, uno linkedin e non risponde più nessuno. Dovremmo dare fuoco a tutto.
La canzone dura poco meno di 8 minuti e io la metto in loop.
Saresti tornato a Napoli, professore e io ti avrei ricordato che avevo preso la via tua, iscrivermi a Lettere, soltanto dopo aver visto te farlo. Solo che ero meno bravo, meno intelligente, meno tutto. E infatti sei tu che hai deciso di insegnare, di fare la cosa più bella del mondo: donarti nel trasferire agli altri. L’atto più bello: dare conoscenza, accendere la luce, innescare la miccia.
Solo quando ho iniziato a farlo un po’ pure io ho capito la bellezza.
Ci sono millemila lavoratori italiani che per poter insegnare cambiano città, vita, relazioni. Agli insegnanti dovrebbero fare uno sfaccimma di monumento e dove sta il monumento?
Porteranno a Napoli le tue ceneri? Io non alzo più il pugno chiuso da anni ma lo farò ricordandoti, appena si potrà.
Carmine Autiero, professore di Lettere - 1975-2025
Questa cosa è successa qualche giorno fa. Come capita spesso uno mette una maschera addosso e fa finta che è tutto a posto. Il problema è che va tutto dichiarato, mica la gente capisce come stai. È osceno. Lo so che una newsletter ha un piano editoriale, deve fare numeri, iscritti, che questo non è un blog.
Ma un uomo vestito di parole non poteva andarsene senza nemmeno una parola.