Agosto è capo 'e vierno
Verso settembre.
Settembre fu uno schiaffo tra faccia e naso; mi addormentai ed era gennaio e passò lento, guardandosi intorno e poi passeggiando su fiumi di città lontane. Di febbraio ricordo me e il calendario. Poi il tempo di un giro di foglio ed eravamo tutti insieme. Le strade vuote, le parole nuove. Il 30 marzo scorso mandai una newsletter. Fu bello rispondere a un centinaio di mail di ritorno perché avevo chiesto se andava tutto bene. I pianti che mi sono fatto leggendo molte storie, ma era buono accussì. Mi dicevano in quei mesi che era conveniente fare anche altre cose. Che in quel periodo occorreva lanciarsi in nuovi progetti.
Non so, io ho preferito lavorare, guardare e fotografare senza pretese. Anzi no, non so se l'ho preferito. So che è andata così.
Ho un problema pa-to-lo-gi-co di concentrazione. Su tutto tranne che sul lavoro.
Non lo so perché ma quando lavoro scompare il resto.
È una condizione che dura il tempo del pezzo e poi si esaurisce, è un'accelerata con stacco di freno millimetrica, come un sorpasso in curva in una gara di Formula 1.
Vale solo con gli articoli di giornale, non con un libro o con una newsletter.
Un pomeriggio di molti anni fa ero a Ramallah ed era tutto un po' teso perché c'era stato un morto nei campi profughi. Dovevo consegnare un pezzo e non avevo il computer. Non era il tempo dei cellulari adatti a tutto (almeno non per me) né di internet ovunque: computer, penna usb, trasferimento su computer collegato in Rete. I tempi erano quelli dei giornali scritti: a che ora hai la chiusura? Oltre la chiusura "ribatti" solo se vale la pena, altrimenti, così si usa dire con malignità: «Tranquillo, senza il tuo pezzo il giornalismo continuerà a vivere senza risentirne».
La signora di cui eravamo ospiti per pranzo a Ramallah - ah, non sono un corrispondente dall'estero, non sono un inviato, non mi occupo di guerre estere e non ho ulteriori aneddoti divulgabili - fu gentile. Mi disse: vieni, andiamo in camera di mio figlio e scrivi da lì. La tastiera giustamente era in arabo con un ricco Windows pezzotto, misi Qwerty e andai a memoria.
Ad un certo punto si palesano i colleghi e due della nostra "delegazione":
"Uè, ce ne dobbiamo andare da qui".
Non li sentiì proprio.
Nemmeno la seconda volta, nemmeno e la terza.
Uno mi scrollò la spalla: "Oh e so' tre...hai capito o no che ce ne dobbiamo andare?".
"Guagliù, ho finito. Fatemi chiudere il pezzo...".
Quelli della "delegazione" erano militari ed erano italiani:
"Signore! Lei deve alzarsi e dobbiamo andare subito via di qui!".
Dalla mia bocca uscì un bestemmione in napoletano così bello che fu perfettamente compreso da napoletani e arabi e penso pure da Gesucristo che doveva essere nelle vicinanze e mostrò subito la sua presenza e gratitudine facendoci stare due ore in mezzo al nulla, senza poter nemmeno andare in bagno per un lento, lentissimo "controllo".
Poi andò bene, riuscì a chiudere il pezzo e perfino ad inviarlo.
L'anno precedente e questo finora è stato come un checkpoint continuo in uno scenario di guerra: viaggio in bus affollato, in ritardo e lunghi stop senza senso, controlli lenti al varco, un pesante fardello da portare e cammino sotto al sole senza riparo in attesa del prossimo alt.
In questo bus mi immagino a leggere. In effetti ora che ci penso, pure su questo è andata in maniera strana: ho letto solo due autori con assiduità. Un anno e la produzione di due soli autori. Letti e riletti. Non so se vi è mai capitato, tipo i genitori di Caro Diario: "Abbiamo letto tutto Tacito, Tacito... tutto!".
Vorrei essere più utile nella scrittura, vi racconto un paio di fatti della Campania, okay? Così assolvo alla funzione giornalistica (per quello che serve, ormai. Sapete come si dice dalle mie parti? "Ogni càpa è nu tribunale").
PER CHI SUONA LA CAMPANIA!
(grazie Francesco per il titolo, fa molto rubrica di giornale locale anni Novanta ma è fondamentalmente in quel mondo che vivo).
Come sapete, Vincenzo De Luca (tuoni, fulmini e odore di gas del lanciafiamme tipo film di Tarantino) si è ricandidato.
Egli è un po' un misto tra Charlton Heston nei Dieci Comandamenti con la cazzimma del Faraone Ramesse dello stesso film più il bastone del Padreterno con cui ammaestra dirigenti, staffisti, portavoce e tutti quelli cui fornisce uno stipendio in quanto governatore. Se sgarri egli ti fa arrivare le locuste e ti tramuta in serpente.
Non tutti sanno che a De Luca piace molto Leonard Cohen. Pochi sanno (e del resto è una notizia soltanto nella misura in cui descrive la mia psiche malata) che io so imitare la voce di Vecienzo, abilità affinata in mesi di ascolto di dirette e in anni di conferenze stampa. Dunque a casa fioccano coreografie private con De Luca che canta «First we take Salierno, then we take Santa Lucia».
De Luca è ricandidato, è avanti nei sondaggi. I suoi avversari sono gli stessi di cinque anni fa, solo più vecchi. Egli invece nel lustro è rigiovanito (rompe pure assai il cazzo, mi dice una persona che lavora con lui e la cui identità non può essere divulgata altrimenti lo appendono al pennone del Palazzo) ed è all'apice di quel potere locale atteso, costruito, anelato. Un potere che come la solita parabola entro qualche anno discenderà e stavolta, essendo giunto in età avanzata, non avrà una nuova ascesa.
I grandi elettori del centrodestra (Cesaro jr, Aldo Patriciello e la signora Flora Beneduce tra gli altri) o non partecipano alla tornata elettorale col centrodestra togliendo in pratica gran parte dei voti di Napoli Nord e Caserta. I motivi sono vari: motivi giudiziari (la famiglia Cesaro) o cambio casacca in tempo utile (Beneduce e Patriciello).
Il Pd dall'altra parte? Zitto, placido, incassa e capitalizza il voto sperando arrivi qualcosa anche al partito e non alle 15mila liste civiche di Vincenzone. Nel Pd non sono furbi ma sanno pure loro che per De Luca è l'ultimo giro di giostra. Il salernitano vuole piazzare il figlio Piero De Luca, parlamentare Dem, in Campania. Ipotesi fra 5 anni (vabbé è fanta politica ma che c'importa: Piero in Regione da assessore, Vincenzo sindaco anziano. O forse Piero sindaco e Vincenzo in pensione. O forse il riscaldamento globale ci fotte tutti).
Oggi in Campania De Luca ha più gente in fila per una candidatura che i supermercati col lievito durante il lockdown. Se diamo per scontata la sua vittoria è facile ipotizzare i prossimi 5 anni scialbi e incrostati: i precedenti manco non sono andati benissimo, l'ex sindaco di Salerno fino a gennaio non era nemmeno certo come ricandidato.
Ma poi è arrivato il Coronavirus.
Col Covid Vecienzo ha incarnato il peggio del peggio: cioè l'italiano medio che ama, riconosce ed esalta solo il suo simile.
Ordinanza qui, lanciafiamme lì, giovani di merda ci scatarro su. Gli ospedali facciamone un paio qui solo per il Covid dai tanto i soldi ci sono, per l'emergenza. Nessun dialogo con le opposizioni men che meno coi giornalisti: è da gennaio che Vincenzo De Luca non partecipa ai dibattiti pubblici né risponde alle domande dei giornalisti sedendosi ad una normale conferenza stampa.
Quando risponde, lo fa come un sultano dittatore: ironie grevi, sarcasmo e battutacce. Nei casi peggiori minacce di querela e insulti.
Non entro nello specifico (e se volete qui c'è una inchiesta della premiata bottega napoletana di Fanpage.it). Ma guardate questa foto.
Su questi mattoni poggiano i prefabbricati usati per gli Ospedali COVID di Caserta e Salerno, mai aperti e mai collaudati. Degli ospedali in Campania ho già avuto modo di parlare e la memoria di quanto facciano schifo i reparti delle malattie respiratorie è ben chiara nella mia mente. Ogni giorno.
Ovviamente qualcuno se lo sta chiedendo: Ah furbo tu non voti De Luca perché tu voti M5s. No.
Ci lavora uno dei miei più cari amici ma no.
Ah furbo! Voti Caldoro, il centrodestra.
No, nemmeno. Cinque anni fa ci scrissi pure un libro contro. Ma lui è stato così signore qualche quando è venuto in redazione da non rivangare :D (ad esempio De Magistris non è così. Scrivi una cosa e te lo fai nemico a vita).
E veniamo ai fatti che bisogna condividere altrimenti non è una newsletter seria.
Raffi ha iniziato (veramente lei dice scriverà 5 volte e basta ma dovrebbe continuare) un progetto sui viaggi.
Francesco è Francesco Oggiano e dovete leggerlo se vi occupate o vi appassionano i media.
Ci sono le elezioni americane e per me il portolano è Francesco Costa.
A proposito di Portolano: ce n'è una, straordinaria, qui!
Vabbé, ci vediamo quando ci vediamo. Scrivetemi, tanto fra poco col lockdown quanto tempo libero... vabbè, scherzavo.