🔥 La leva della classe 1977. Avere 40 anni a Napoli
La leva della classe 1977. Un quarantenne a Napoli
Ho fatto come nei film che si parte dalla casa attuale e si cammina alla ricerca di casa natìa. Ho pensato, ho scattato foto. Sono nato l'anno delle lotte di quarant'anni fa. Sarebbe finito tutto e a me avrebbero lasciato la forma singolare. Niente lotte ma lotta. Per campare, per studiare, per lavorare. C'erano e ci sono scale e salite: il Moiariello che è un serpente di basoli vulcanici che s'arrampica fino a Capodimonte, le scale per arrivarci, le scale della prima scuola alla salita Miradois, quelle dei vicoli da scendere veloci da bambini che hai fretta: alle calcagna c'è la vita.
Napoli ha troppi riferimenti che si sarebbero addensati nella memoria e avrei capito solo poi, incrociandoli con altri avvenimenti, con la musica la letteratura e la storia. Da aspirante chimico stregone il mio sistema periodico napoletano dettava gli elementi affini alla residenza: il temibile Radon nelle pietre di tufo, quelle delle «mure fracete d'a casa mia»; l'oro degli «oggetti» che la gente andava a impegnare per risolvere problemi d'ogni tipo, l'odore pungente del fenolo nella creolina che fu buttata per sciacquare il primo sangue di omicidio che vidi, su una rampa di scale. Un ricordo vivissimo.
Cos'è Napoli per un uomo di 40 anni? Una fortuna, quella d'esserci rimasti e una rinuncia, quella per poterci essere. Non ho mai considerato l'esser rimasto il passepartout per dire «o la ami o te ne vai!», come si urlava ai pacifisti oppositori della guerra in Vietnam. Ho scelto di fare un lavoro che mi consentisse la critica alla città sfacciata, capace di inghiottire lo stereotipo creato ad uso e consumo di un progetto quasi sempre commerciale (una libro, una serie tv, una canzone, una campagna elettorale), metabolizzarlo e trarne nutrimento per una nuova mutazione sempre più estrema. E al tempo stesso ho scelto di raccontare ciò che la mutazione sta creando proprio qui, proprio ora. Ho rinunciato - non del tutto - alla comprensione del resto d'Italia senza partire da Napoli.  Accettato la concorrenza in una città che si fa leggere, raccontare e fraintendere (ma psicanaliticamente il fraintendere non è solo un racconto da percezioni diverse?) da chiunque arrivi 'da fuori'.
Prendi 'Poppella' al rione Sanità . Per noi cresciuti intorno al rione, Poppella era cibo  salato: i taralli, il casatiello. Da qualche anno, invece, è il dolce di un prodotto, il 'fiocco di neve' che è una volta ogni tanto è un calcio in culo alla tradizione, è puro marketing, con storytelling e packaging (chiedo scusa per le parolacce). Quando una sventagliata di proiettili finiti nella vetrina della pasticceria ha ricordato a qualcuno che la camorra è viva e lotta insieme a noi e che tocca tutti, anche le superstar della ristorazione, Poppella è diventata nell'immaginario di alcuni giornali "la pasticceria di Totò" e il suo titolare, Ciro, ha cambiato cognome, diventando appunto Ciro Poppella.Â
Sono superficialità che nascondono e nemmeno troppo il vizio di cadere nel sensazionalismo e nel racconto facile di una realtà complessa e dolorosa. La libertà di raccontare sciocchezze nelle cose piccole, facilmente verificabili, nasconde quella di narrare fesserie in un giornalismo iterativo che va avanti per somma di approssimazioni. Però i proiettili erano veri, strunz.
Mi stavo chiedendo perché Wim Wenders non avesse mai messo in cantiere un film su Napoli. Lisbona, Berlino, Tokyo. E noi? A Napoli avrebbe fatto sfracelli qualche anno fa.  Ma nessuno ha mai trovato i soldi per un progetto con lui. Dico io: con tutti i film di merda fatti a Napoli nessuno ha trovato fondi per Wenders?
Per dirne una, senza polemica: Sky trasmette spesso sui suoi canali una fesseria mostruosa come "Apocalypse Pompeii", pellicola di quart'ordine su una presunta eruzione del Vesuvio (sai Salvini come gode? A proposito, viene l'11 a Napoli e saranno cazzi per tutti). Lavali col fuoco sì e Wenders no? Dai, cacciate i soldi.
Infine. Una cosa che non c'entra niente con Napoli. Ho recuperato su internet alcuni dei racconti scritti da Manuel Agnelli in un libro introvabile (le copie su Ebay superano i 100 euro) dedicato al "Magnifico Tubetto" (ce ne sono 2 edizioni, una di un piccolo editore e l'altra di Mondadori). Quando ero guaglione li adoravo questi racconti. Forse qualcuno ricorda il concerto degli Afterhours al Flakabè ai Ponti Rossi. Correva l'anno 1994, il sottoscritto ne aveva 17.
Il tema del 40enne a Napoli mi affascina. Ora che ho una età 'riconoscibile' voglio proprio vedere cosa fanno e cosa stanno facendo i miei coetanei che sono rimasti in città .
Secondo me sono quasi tutti inguaiati: votano De Magistris, hanno la bici elettrica perché credevano davvero nella pista ciclabile e lavorano nel fiorentissimo commercio dei panini gourmet a Napoli, quelli che sono esattamente come i panini normali ma siccome c'è scritto "Carne delicatissima di mucca sensibile" li paghi 15 euro.
Oggi (27 febbraio) festeggio un po', spero. Poi ci sentiamo e scrivo più spesso okay? Leggo tutto, ho addirittura stampato le mail di risposta alla newsletter per farvi capire come ci tengo: devono fare volume fisicamente nella mia vita.
«Ci sarà mai un domani in cui anche noi ci siederemo nella posizione del loto e i nostri pensieri si faranno lievi come zucchero filato? Â
Ci sarà mai un domani in cui finalmente ci libereremo da questo terrore del ridicolo che ci rende mediocri?Â
Ci chiameremo per ricordarci a vicenda di annaffiare i fragili fiori della spensieratezza?Â
Avremo rose nel nostro giardino? Avremo un giardino?Â
Riusciremo a vincere le ragioni del nostro discontento?Â
Ci sarà del tempo per un chinotto ghiacciato la sera?»
Emidio Clementi
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