Togliersi un pensiero
In realtà sono successe un sacco di cose ma ora questo era più importante
Il mio modo per riprendere un discorso interrotto da qualche mese è parlare di un fatto appena accaduto.
Ciao, spero ti vada tutto bene, il mio “frattempo” è stato entrare in un mondo nuovo. Poi magari ne parliamo, ci sono dei fatti laterali sull’aver scritto un libro su Napoli che vorrei raccontarti. Ma lo facciamo un altro giorno.
Qualche ora prima dell’omicidio di un ragazzo di 15 anni ero al corso Umberto I, a pochi metri dal fatto. Io cammino a piedi, non ho auto e il Rettifilo la sera non mi è mai piaciuto. Oh, ci camminano centinaia di persone ogni sera, è un fatto mio: ci sono delle zone che non preferisco. Ma ieri ero in compagnia di una persona scortata dalla polizia e ti dirò, mi sono goduto la passeggiata senza quel solito livello di attenzione che mi viene naturale in alcune zone, non solo a Napoli.
Avevo appena cenato e bevuto, una chiacchierata, poi un taxi e casa. Se hai sicurezza garantita e mezzi per spostarti è la città più bella del mondo. Questo mi dicevo. Un pensiero borghese.
Di notte è arrivata la notizia in polizese: «segnalazione soggetto cl. 09 attinto mortalmente mediante esplosione colpi d’arma da fuoco». Così “schiara” la giornata.
Quindici anni e la dinamica non è chiara. Devi sapere che quando i media e i loro derivati non riescono a incasellare subito un fatto di cronaca impazziscono.
Che significa incasellare? In questo caso è decidere: è camorra, rapina o tragedia? Perché questi sono i grandi macro-insiemi.
Che sia morto un giovane legato a clan, un giovane rapinatore o un giovane preso da un proiettile mentre passava è una tragedia enorme sempre.
Incasellare perché? È fondamentale per le opinioni. Serve al talk show del pomeriggio, serve alle articolesse del giorno dopo, serve alla politica che deve stabilire dove debba essere indirizzata la paura. Serve pure agli influencer che si produrranno in reel e caroselli.
Ci siamo tutti dentro, meglio non fare passetti indietro o di lato.
È una danza collettiva, un maracaibo da spiaggia e noi ci siamo tutti dentro.
Sai, Napoli è preparatissima alle tragedie su se stessa. C’è un meccanismo oliato, ben collaudato da decenni di drammi. C’è un coccodrillo già pronto, c’è una busta di aggettivi precotti pronti da essere usati. Parlavo con un amico che ha un incarico: la tutela delle lapidi, delle targhe, dei monumenti che ricordano le vittime innocenti di camorra. Ci sono così tante storie che serve un elenco per tenerle a mente.
Metto in fila senza soluzione di continuità i pensieri che ho qui e ora in testa: un ragazzo di 15 anni del rione Sanità è morto, al rione Sanità si gira la fiction sul prete che ha aperto alla speranza togliendo dalla strada tanti ragazzi e aprendo cooperative; oggi esce il film di Paolo Sorrentino “Parthenope”; nella sparatoria altri due ragazzini sono stati feriti da proiettili; qualche giorno fa un 16enne di un altro quartiere, Pianura, è stato accusato di aver fatto ucciso e dato fuoco al suo migliore amico per ordine dei clan.
Serve incasellare perché serve trovare un minimo comune denominatore, la tracciare la linea mediana che tenga tutto dentro, assegni delle colpe e dia una speranza, una soluzione. Serve l’arco narrativo, serve la tragedia greca o lo spiraglio di speranza.
E invece come ti sentiresti se ti dicessi che io vedo i fiori del male innaffiati da strafottenza e che fioriscono per caso, in mezzo due mattoni di cemento?
Come ti sentiresti se ti dicessi che è tutto bellissimo e tutto orrendo. E che tutto si tiene e tutto è improvviso e inspiegabile, esattamente come su una barchetta mentre c’è il sole e bellebuono arriva la più imprevedibile delle tempeste? Sai che per mare prima o poi può accadere.
Sai pure che non puoi prevederla, puoi solo attrezzarti. Noi come ci attrezziamo?
C’è una canzone dei 99 Posse che si chiama “Vulesse” ed è molto dura: parla del terrorismo italiano. Ma c’è un passaggio che vale ancora oggi.
Vulesse tené ’o fierro rint’â sacca
che bello
nun fosse pe fà ’o gruosso
pure pecché fosse ll’urdemo strunzillo int’a na fossa
fratello
vulesse tené ’o fierro sulamente pecché stesse cchiù tranquillo
difesa personale:
se tutto intorno é il bene
allora chi tutela il male
quando il bene si prepara ad ammazzare?
vulesse tené ’o fierro rint’â sacca cumpà
vulesse ca llà ffora stesse chino d’assassine che me vonno eliminà
ma è la quiete, è la calma, è la serenità
che m’insegue mi bracca e nun me fà respirà
vulesse tené ’o fierro rint’â sacca cumpà
ma avesse fà na strage e nun posso
vulesse vulesse
e invece faccio sulo capa e ccesso
Senti: non c’è un finale, non c’è una chiusura. In realtà sono successe un sacco di cose nel periodo in cui non ci siamo scritti e te le vorrei raccontare.
Ma ora questo era più importante, dovevo togliermi questo pensiero dalle dita.
Sono napoletana e sono “malata di napoletanite”… Ho la fortuna di poter viaggiare e conoscere il resto del mondo… ogni volta che rientro a CASA sono felice, xké Napoli è Napoli, ma col passare degli anni questa “felicità” nel rientrare si sta affievolendo e solo la “malattia” mi trattiene alla mia città 💙
Sono stata a Napoli una settimana fa, l’ho visitata in lungo il largo ed è sempre una gioia rivederla. Non so se riuscirei a viverci di nuovo, sono passati troppi anni e tutta questa violenza mi addolora sempre.